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Giornata Nazionale per la lotta contro il LES

Milano 13 Giugno 1998

"Il Gruppo LES alle soglie del 2000"

Chairman: Prof. Raffaella Scorza

La sintesi degli interventi e la trascrizione del dibattito sono pubblicate anche su ICARO n. 25 e 26
e sono state effettuate a cura del Gruppo LES Genova e Liguria. Ci scusiamo con i relatori per eventuali inesattezze, pregandoLi di tener presente che questo lavoro ha comportato parecchie ore di ascolto, riascolto e scrittura ed e' stato fatto al fine di fornire materiale utile per approfondire la conoscenza sul LES e imparare a gestire la malattia nel miglior modo possibile. Per eventuali correzioni e/o precisazioni si prega di contattare Maria Teresa Tuccio

Partecipano :

Membri del Comitato Scientifico del Gruppo LES Italiano

Prof. Fernando Aiuti - Roma

Prof. F. Caligaris Cappio - Torino

Prof. Roberto Cattaneo - Brescia

Prof. P. Paolo Dall’Aglio - Parma

Prof. Sergio Del Giacco - Cagliari

Prof. Alberto Marmont - Genova

Prof. Claudio Rugarli - Milano

Prof. Raffaella Scorza - Milano

Dott. Massimo Vanoli - Milano

 

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Domande e Risposte
tavola rotonda

Il mio plauso è alla formazione di questo Comitato Scientifico soprattutto se da questo Comitato Scientifico derivano delle linee guida sulla diagnosi e sulla terapia di questa malattia. Il Prof. Cattaneo ha sollevato un problema che è quello dei falsi positivi. Qualche altro chiarimento in merito potrebbe essere di rassicurazione per tutti noi.

Prof. Cattaneo - Io mi trovo in una posizione abbastanza privilegiata in quanto dirigo un servizio che ha sia la parte di laboratorio sia la parte clinica, quindi possiamo verificare direttamente l'attendibilità degli esami di laboratorio. La mia esperienza, e di tutti i miei collaboratori, è che molti kit danno dei risultati aspecifici, cioè sensibilità molto alta ma specificità molto bassa. Tenendo presente che la prevalenza di queste malattie, e nel caso particolare il LES, presenta una prevalenza molto bassa, il valore predittivo di questi esami è bassissimo. A questo punto il problema andrebbe affrontato sia dal laboratorista sia dall'immunologo clinico o dal reumatologo, per dare un giudizio, non dico sulla validità del kit ma almeno sulla diversa metodica di laboratorio. Io credo ancora di più ad un buon test di cellule LE fatto bene (noi purtroppo non lo facciamo) piuttosto che a un antiDNA fatto con metodo Elisa perchè sono test completamente aspecifici che quindi richiedono per fare una diagnosi un insieme di dati clinici e di laboratorio che purtroppo spesso non vengono rispettati o non vengono fatti e pertanto ne deriva una diagnosi sbagliata.

Prof. Marmont - Io penso che non si debba avere i criteri classici perchè una persona si possa appoggiare a questa formazione. Ci sono mille situazioni di sindromi di sovrapposizione, connettiviti atipiche, quelle che io ho chiamato tanti anni fa "pre-lupus". Tutte queste persone possono serenamente confluire ed hanno quindi tutto il diritto di essere assistiti anche se non hanno, diciamo così, la configurazione clinica o laboratoristica classica.

Prof. Cattaneo - Il problema, a mio parere, non è quello di questi soggetti che hanno connettiviti minori ma piuttosto di quei soggetti che hanno avuto una banalissima malattia virale infettiva e hanno una positività di test in base al quale ricevono una diagnosi sbagliata. Questo è il problema chiave.

Prof. Del Giacco - Il problema che sottolineava il prof. Cattaneo è giusto. In pratica, il concetto che deve valere è quello che non si curano gli esami ma si cura il malato. Quindi, quando arriva al medico un referto di anticorpi antinucleo positivo, perchè magari un paziente si è fatto un influenza o una mononucleosi qualche tempo prima, il medico non può assolutamente fare una diagnosi .Questo è l'errore che purtroppo viene commesso spesso proprio perchè c'è una completa distanza tra il laboratorista e il medico di base o il medico specialista. Chi non ha una posizione fortunata come il prof. Cattaneo e me, in quanto possiamo verificare subito che cosa corrisponde all'esame, si troverà in difficoltà. Se il medico è superficiale, non completa, non approfondisce l'aspetto clinico (che invece è il più importante), rischia di fare una diagnosi sbagliata. Quindi l'aspetto clinico va sempre privilegiato, anche a scapito di un esame positivo, se non c'è nessun dato di altro tipo che indica la malattia.

In presenza di dati clinici contrastanti per la diagnosi di LES questa può diventare certa se nel corso della malattia il titolo degli anticorpi anti DNA ha raggiunto 1:160 o deve superarlo?

Prof. Cattaneo - Io sono convinto, ma credo anche tutti coloro che si occupano di LES, che la diagnosi non vada mai fatta sulla base di dati di laboratorio. Un dato di laboratorio, sia pure estremamente suggestivo, non fa fare diagnosi di LES, neanche gli anti DNA nativo, quindi ci vogliono più criteri, criteri clinici, criteri di laboratorio. Voi tutti avrete sentito parlare dei così detti criteri ARA. Questi non sono assolutamente vincolanti, fra l'altro sono criteri più di classificazione che diagnostici, ovviamente non ci si deve riposare su questi criteri però comunque occorrono più criteri, non basta solo l'esame di laboratorio. L'insieme dei dati clinici e dei dati di laboratorio formano il mosaico che ci consente di fare la diagnosi. E' chiaro che gli anti DNA sono i più importanti. Qui lei mi parla di 1:160 ma non indica il test usato; presumo, essendo espresso in diluizione, che sia un test di immunofluorescenza con la Crithidia Luciliae, allora questo è un test abbastanza valido. Un titolo di 1:160 è discreto; però, come dicevo, da solo non ci fa fare la diagnosi. Quindi se nessuno di questi dati clinici è probante per la diagnosi di LES anche un titolo di 1:160 non mi fa fare la diagnosi. Semmai prudenzialmente consiglierei a questo paziente di farsi seguire nel tempo e se spunta qualcosa faremo la diagnosi.

Nella terapia innovativa per determinati casi di LES è previsto anche il trapianto del midollo osseo. Alcuni pazienti affetti da LES che hanno subito il trapianto del midollo osseo, in quanto ammalati anche di leucemia, sono guariti. In altri soggetti trapiantati, la malattia autoimmune si è ripresentata. Quale potrebbe essere la causa ipotetica che determina la ricomparsa del LES anche dopo un trapianto di midollo osseo? Sono previste per il futuro nuove metodiche per facilitare i trapianti di midollo osseo? In quali casi è consigliabile il trapianto del midollo osseo nei malati di LES?

Prof. Marmont - Nella leucemia acuta ci sono state delle ricadute nelle cellule del donatore come se la malattia avesse una possibilità infettiva. Oggi le ricadute leucemiche nelle cellule del donatore sono quasi del tutto scomparse. Noi ne abbiamo visto un caso, lo abbiamo anche pubblicato, ma sta regredendo molto. L'autoimmunità non si trasmette dalle cellule del ricevente alle cellule del donatore ma è possibile che nell'organismo la causa dell'immunità non sia limitata al sistema immunologico e il sistema immonologico nuovo trova nuovamente degli stimoli verso l'autoimmunità. Se così fosse il valore della terapia perderebbe sicuramente molto. Non si ritiene allo stato attuale di fare trapianto allogenico (da donatore non da paziente) perchè presenta ancora qualche rischio che nel caso della leucemia è accettabile, nel caso del lupus no. Certamente stanno migliorando molto le tecniche, tanto è vero che tra i 20-30 casi di LES che sono stati fatti al mondo finora non si è presentato nessun incidente preoccupante. Che cosa otteniamo con questa metodica? Sicuramente una enorme caduta del potenziale aggressivo della malattia, una liberazione da una schiavitù di cortisone eccessiva. E' consigliabile in casi molto aggressivi con molta compromissione organica che richiedono eccessive dosi di cortisone.

Possono coesistere in uno stesso individuo il LES e un tipo di artrite reattiva? Oppure l'uno esclude l'altra?

Prof. Cattaneo - No. Non c'è esclusione, ci può essere benissimo l'associazione anche se non è frequente.

Come viene valutata nell'ambiente scientifico la scoperta delle cellule chiamate "Tr1" in grado di bloccare le reazioni di rigetto e tutt'ora allo studio da parte della ricercatrice del Tiget di Milano Prof. Maria Grazia Roncarolo? Tali cellule dovrebbero indurre tolleranza immunitaria verso autoantigeni.

Prof. Caligaris Cappio - La Professoressa Maria Grazia Roncarolo è un’immunologa professoressa associata di Pediatria all'Università di Torino ed è un'autorità internazionele nel settore della ricerca immunologica di base. Questo suo lavoro è stato pubblicato su una rivista tra le più prestigiose per cui la valutazione non può essere che estremamente positiva. Quello che è stato scoperto dalla Professoressa Roncarolo è che queste cellule nell'animale da esperimento (il lavoro è stato fatto nel topo) inducono l'organismo ad essere tollerante verso se stesso, cioè a non aggredire se stesso. Questo ha portato a dei risultati nell'animale da esperimento estremamente interessanti. Non si sa nulla su che cosa questo possa significare nell'uomo; sono però in pista tutta una serie di esperimenti volti a valutare se nell'uomo nel lupus queste cellule esistono, se non esistono perchè e se è possibile risvegliarle e farle venire fuori. Quindi dal punto di vista scientifico è una scoperta molto interessante le cui reali implicazioni però per il momento noi non conosciamo ancora.

E' vero che la somatostatina stimola la formazione naturale del cortisone? E se così fosse si potrebbe usare per diminuire l'uso del cortisone nel LES? I farmaci usati per la cosiddetta "Cura Di Bella" possono dare giovamento al quadro generale del paziente affetto da LES?

Prof. Aiuti - Della cura Di Bella non ho trovato niente di scritto su pubblicazioni scientifiche, quindi se la cura Di Bella comprende la ciclofosfamide, farmaco che in passato e anche oggi può rientrare nella terapia del LES, la risposta è sì, ma solo limitata a questo farmaco.

Quanto influiscono le vaccinazioni, in particolar modo l'antitetanica, nello sfociare della malattia? Un insieme di vaccinazioni come antimorbillosa, antiepatite e antitetanica, a distanza di 3-4 anni l'una dall'altra, possono scatenare il LES?

Prof. Aiuti - Una risposta molto prudente è che è sconsigliabile sottoporre a vaccinazioni profilattiche un paziente affetto da LES. Anche sul discorso della vaccinazione antinfluenzale ci sono dati in letteratura pro e contro. Però la linea di massima è quella di non fare delle stimolazioni sul sistema immunitario. In particolare quella antitetanica perchè attiva in maniera policlonare i bilinfociti quindi è uno stimolatore non solo dell'immunità specifica ma anche dell'attività dei bilinfociti non specifica. Nei soggetti che non hanno la malattia in fase conclamata non c'è nessuna controindicazione per fare le vaccinazioni qui elencate: antimorbillosa, antiepatite e antitetanica, anche se in letteratura sono state riportate delle coincidenze di sviluppo della malattia dopo richiamo o dopo vaccinazioni.

Può influire il LES sulla concentrazione?

Prof. Aiuti - Chiaramente se ci sono delle alterazioni cerebrali, se c'è un danno cerebrale, se c'è una vasculite. Sicuramente il malato di LES può avere anche dei disturbi che riguardano la concentrazione, le capacità intellettive. Dipende tutto dal tipo di grado di malattia ed il tipo di danno neurologico.

E' normale soffrire di dolori articolari anche in fase di remissione di LES?

Prof. Aiuti - La normalità non esiste. Se un paziente è stato trattato bene ed è curato bene qualunque sintomo clinico dovrebbe essere completamente in remissione. Se ci sono dei dolori articolari, come se ci sono delle alterazioni di laboratorio, significa che il paziente non è in completa remissione e quindi è un invito al medico a sorvegliare e modificare la terapia.

Terapia della plasmaferesi è importante e quali le conseguenze?

Solo in alcuni casi particolari anche se sappiamo che successivamente non ci sarà la guarigione in quanto dopo aver cambiato il plasma gli autoanticorpi si riformano. Vi possono essere delle resistenze farmacologiche in cui si può prevedere che è difficile per i pazienti prendere dei farmaci immunosoppressori, perchè ci sono delle situazioni midollari o delle situazioni immunologiche che troverebbero senz'altro un giovamento dalla plasmaferesi. Quindi in occasioni particolari, in occasioni di situazioni di emergenza la plasmaferesi è stata in passato applicata. Recentemente sono state anche proposte terapie sostitutive con immunoglobuline ad alte dosi che però non trovano ancora conferma da lavori scientifici in letteratura e che comunque non possono sostituire in alcun modo la terapia immunosoppressiva.

Dopo anni di remissione è possibile uscire completamente dalla terapia? In realtà si può parlare di guarigione?

Prof. Scorza - La mia risposta è veramente molto personale, non è una risposta ufficiale e non è validata. Non esistono in realtà documentazioni scientifiche, ognuno si regola un po' secondo esperienza. La terapia del LES può essere sospesa se la malattia viene trattata all'inizio in maniera estremamente aggressiva da mandarla in remissione. Qui vedo tanti pazienti che sono fuori terapia avendo avuto una nefrite lupica documentata e tutto un altro corteo che erano dei LES conclamati. C'è gente che da 8-9 anni continua ad essere sorvegliata ma è senza terapia. Gente che ha avuto gravidanze, ha preso lo steroide nel periodo magari intorno all'ultimo mese, subito dopo il parto. Questo fa parte della nostra esperienza e probabilmente noi siamo uno dei centri che tratta la malattia in maniera aggressiva fin dall'inizio.

Prof. Del Giacco - Tutti noi abbiamo alcuni pazienti che sono usciti spontaneamente dalla terapia dopo tanti anni e stanno bene, altri sono usciti ma purtroppo sono ricaduti e quindi questo è un pò a giudizio del medico. Io personalmente ho sempre molta paura a togliere l'ultima dose di cortisone che il paziente prende, anche se si tratta di 4 mg a giorni alterni, che è una dose più che altro psicologica. Però io quella non riesco quasi mai a toglierla e tutto sommato non mi sono mai dovuto pentire di questo.

Dott. Vanoli - L'esperienza è la stessa. Anche la piccola dose, quasi omeopatica, in realtà tiene tranquilla una situazione che viceversa rischia di squilibrarsi. C'è un'altra nota di cautela e questa è proprio rivolta ai pazienti che talvolta, o per stanchezza o per condizioni soggettive assolutamente buone, dopo anni decidono di interrompere la terapia cortisonica. Questo espone sicuramente a rischio perchè se c'è una soppressione per una terapia cortisonica protratta a lungo, una soppressione della produzione che l'organismo di per sè fa del cortisone, una soppressione acuta di quella dose di ormome che a quel punto sostituisce la produzione propria dell'organiscmo, può esporre a grossi rischi generali anche indipendentemente o a loro volta in grado di indurre una riattivazione della malattia.

Il LES lieve come va trattato?

Prof. Scorza - Secondo la mia esperienza anche i LES lievi vanno trattati in modo aggressivo.

La pillola per il controllo delle mestruazioni è sempre sconsigliata, o in quale caso è consentita?

Prof. Scorza - Anche qui non esiste niente di codificato e anche questa è una risposta sull'esperienza personale. La pillola può precipitare una malattia conclamata in una paziente ovviamente predisposta. Noi abbiamo diverse ragazze giovani che hanno sviluppato la malattia dopo due stimoli classici e cioè il sole e la pillola. Forse gli estrogeni hanno un ruolo facilitante, non chiaramente sono responsabili del LES, e quindi si cerca di adoperare, se è possibile, altre terapie. Il "se possibile" , che secondo me fa parte del buon senso del medico, significa che bisogna adoperare una scaletta di priorità. Anche se io sono contrarissima agli anticoncezionali nel LES ritengo che ci sono dei rari casi in cui darli rappresenta il male minore, questi casi possono comprendere per esempio delle persone che hanno una policistosi ovarica o delle metrorragie. Quindi il discorso è che non esiste mai la terapia per la malattia, ma esiste la terapia per il paziente con quella malattia.Questo vale per la pillola come per qualsiasi altra cosa.

Dott. Vanoli - Aggiungerei una considerazione emersa anche da un convegno di 15 giorni fa che c'è stato al Niguarda, qui a Milano. E' vero che non esistono dati precisi di studi prospettici su una casistica sufficientemente numerosa. Esiste però l'analisi, anche significativa, di alcuni studi retrospettivi che sembrano indicare che, soprattutto nelle formulazioni trifasica a basso contenuto di estrogeni, la contraccezione ormonale non si accompagna a significative differenze quanto a riattivazione della malattia. Ripeto, sono segnalazioni prevalentemente originate da analisi retrospettive con tutti i limiti che questo comporta, però mi sembrava importante completare la risposta in questo senso.

In caso di menopausa quali sistemi si possono adottare per evitare o ritardare l'osteoporosi?

Prof. Scorza - Oggi finalmente possiamo dire che il paziente con il LES, anche quello molto giovane, arriva ad una età felicemente più avanzata. Arriva alla menopausa e quindi corre il rischio di tutte quelle alterazioni che sono tipiche delle donne, magari peggiorate dalla terapia steroidea. Oggi gli estroprogestinici per cerotti possono forse venir usati. Anche questo non mi piace nel LES perchè non c'è nessuna documentazione scientifica e allora sono molto prudente in queste cose. Gli estroprogestinici hanno un fattore limitante che è nel favorire le trombosi nei soggetti che hanno gli anticorpi antifosfolipidi. Gli anticorpi antifosfolipidi sono presenti non soltanto nel lupus, ma sono sicuramente più frequenti nel lupus che in altre situazioni. Quindi, un evento ulteriore che limita l'impiego di questi composti nel lupus eritematoso è la presenza degli anticorpi antifosfolipidi e direi che questo lo fa non solamente nel LES ma anche al di fuori di questa diagnosi. Esistono però dei farmaci estremamente efficaci per l'osteoporosi ed esiste un'altra terapia che è lo stile di vita, quindi una vita attiva, dello sport, una dieta moderatamente iperproteica, magari scegliendo le proteine del pesce e moderatamente ipercalorica, eventualmente accompagnata ad altri composti, ad altri integratori che possono prevenire l'osteoporosi. Sicuramente questi farmaci o questi integratori non eliminano la parte legata all'effetto benefico degli estrogeni su tutta un'altra serie di cose, i capelli, la pelle, però tutto sommato direi che è ancora oggi prudente evitare di far ricorso. Noi abbiamo visto dei lupus insorgere in soggetti anziani già in menopausa che avevano avuto la terapia sostitutiva per motivi medici oppure che avevano avuto per esempio l'esposizione al sole per la terapia della psoriasi. Quindi il problema dice prudenza e attenzione al rischio di effetti collaterali indesiderati.

Con anticorpi SSA si può portare a termine una gravidanza senza problemi? Cioè il figlio sarà sano?

Prof. Scorza - Gli anticorpi SSA non controindicano la gravidanza, e qui ci sono dei dati clinici, e neanche sono associati ad una maggiore abortività come invece è il caso degli anticorpi antifosfolipidi. Il problema è che gli anticorpi anti SSA, soprattutto se ad alto titolo, possono dare nel feto un disturbo del sistema di conduzione dell'impulso elettrico a livello del cuore e quindi possono essere associati ad un blocco del sistema di conduzione, ad una aumentata mortalità. E' uno dei casi delle morti bianche, delle morti in culla. Il problema reale qual è? Che sono rarissime. Cioè, a fronte delle migliaia di persone che hanno gli anticorpi SSA, solo pochissimi hanno dei figli con patologia di questo tipo. E allora bisogna sempre comportarsi con buon senso. Saperlo, quindi fare il monitoraggio, cercare nei bambini alla nascita i segni di questo possibile difetto ed intervenire con estrema serenità, però attenzione la serenità non vuol dire incoscienza. La tranquillità è favorita da dati statistici. L'anti SSA è frequentissimo nel lupus, in una serie di altre patologie, ma anche al di fuori di patologie autoimmuni vere e proprie, eppure solo una minima parte di bambini può andare incontro a questo difetto. Quindi sorvegliare per intervenire al momento della nascita, per non avere dei guai dopo. Questo sicuramente va fatto.

Le luci alogene e il neon possono dare fastidio ad un lupus cutaneo?

Prof. Del Giacco - Non risulta che diano fastidio a meno che la persona non vi si esponga per ore e ore e allora bisognerebbe vedere cosa succede. Di solito quello che dà fastidio sono le esposizioni ai raggi ultravioletti.

Nelle malattie autoimmuni il sistema immunitario è debole, forte o alterato?

Prof. Del Giacco - Non è nè debole nè forte, è solo alterato nel senso che induce una risposta anomala. Di solito non ci sono risposte nei confronti dei costituenti propri dell'organismo e per varie cause si possono provocare questi anticorpi, tra i quali gli anticorpi non organo specifici.

Quali sono le sostanze utili per rinforzare il sistema immunitario?

Prof. Del Giacco - Non esistono sostanze che rinforzano un sistema immunitario normale, ci sono sostanze che possono riequilibrare in un certo senso il sistema immunitario. Ad esempio in una immunodeficienza umorale le immunoglobuline sono quelle che possono riportare il sistema immunitario alla norma per la risposta di tipo anticorpale. Ci possono essere le interleuchine, le interleuchine2, per esempio, che possono riportare i T-linfociti ad una certa risposta normale, ma già questo è un'applicazione molto più complessa. Altre sostanze che vengono spacciate per sostanze che rinforzano il sistema immunitario non sono mai state documentate essere tali. Quindi diciamo che nei casi di deficienza immunitaria combinata, ma certamente in quei casi, l'unica soluzione è un trapianto di midollo, un trapianto di timo, ma nei casi gravi. Altrimenti direi che, soprattutto se questa domanda poi si riferisce alle malattie autoimmuni, non è il caso di somministrare sostanze così dette immunomodulanti o di altro tipo.

In quali casi è necessario assumere il Plaquenil?

Prof. Del Giacco - Direi che il plaquenil ha due indicazioni in cui è effettivamente utile. Nel lupus cutaneo, il lupus discoide, in cui certamente ha delle attività importanti, e nell'artrite reumatoide può essere utile come terapia di fondo.Ovviamente vanno fatti i soliti controlli, soprattutto oculistici ogni sei mesi. Un lupus cutaneo però può essere benissimo curato con una terapia che esclude l'utilizzo del plaquenil.

Con una vasculite cerebrale è sconsigliabile sottoporsi ad operazioni chirurgiche? Che controindicazioni ci sono?

Prof. Del Giacco - La vasculite cerebrale naturalmente va vista caso per caso. In un malato con lupus accertato, è importante valutare se è presente una importante componente vasculitica cerebrale. Ci sono vari mezzi: la risonanza, la spect, ecc. Bisogna vedere se la vasculite c'è e che estensione ha, se il paziente ha degli anticorpi antifosfolipidi o no. Questa vasculite può essere l'espressione di una vasculite più generale quindi se il paziente ha degli anticorpi antifosfolipidi certamente è più portato ad avere problemi di tipo trombotico in occasione di operazioni chirurgiche. Anche qui si tratta di vedere che tipo di operazioni chirurgiche sono, nel senso che tutte le operazioni a livello addominale o a livello degli arti possono essere più a rischio trombotico di altri tipi di interventi superficiali. Quindi direi che non è una controindicazione assoluta ma anche in questo naturalmente va valutato il paziente, cioè bisogna vedere se è un paziente giovane, se ha altre alterazioni, se ha già avuto problemi di tipo trombotico. Bisogna vedere anche se è necessario o no che questo paziente faccia l'intervento, se è un'operazione urgente che mette in pericolo la vita ovviamente prevale questo, se invece è un'operazione evitabile può darsi che allora valga la pena di cercare di aspettare o di sottoporsi a tecniche meno traumatiche, per esempio interventi endoscopici ecc.

Le cardiopatie ischemiche (coronopatie e valvulopatie) che frequenza hanno nel paziente con LES?

Dott. Vanoli - Io considero la cardiopatia ischemica in questa mia risposta come conseguenza della malattia dell'arterioscleresi. Proprio ieri nell'aula del Granelli si diceva che ormai tutto è autoimmune, a meno che sia documentato il contrario, e sicuramente anche per l'arterioscleresi è di moda una patogenesi, cioè un meccanismo attraverso il quale si verifica la malattia di tipo autoimmunitario. Ciò nonostante non credo che si possa rispondere che la cardiopatia ischemica è autoimmune ed è tipica del lupus come malattia autoimmune sistemica. C'è un però importante. Vi sono alcune manifestazioni cliniche del lupus che di per sè agiscono da fattore di rischio per la cardiopatia ischemica, per l'arteriosclerosi. L'interessamento renale che provoca ipertensione arteriosa, un tipo di interessamento renale che portando alla perdita di proteine con le urine squilibria quella che è la normale concentrazione di proteine e di grassi nel sangue, fattori indubbiamente di rischio per l'arteriosclerosi, nel paziente lupico in questo caso c'è un rischio aumentato. A questo si aggiunge la terapia cortisonica di per sè in grado di aumentare la pressione arteriosa, di per sè in grado di modificare il profilo dei lipidi, dei grassi nel sangue. Quindi alla malattia si aggiunge la terapia come fattore di rischio e a questo, ne ha già fatto un breve cenno la Prof. Scorza, si aggiunge ancora il problema sindrome da antifosfolipidi sia essa primitiva o non primitiva, nel contesto o non nel contesto del lupus. Questa sindrome, legata alla presenza di questi particolari autoanticorpi, è proprio caratterizzata dalla elevata frequenza di manifestazioni di tipo occlusivo dei vasi arteriosi e venosi e tra le localizzazioni può anche esservi quella coronarica (qui siamo al di fuori del discorso arteriosclerosi), quindi un aumentato rischio di cardiopatia ischemica, di angina, di infarto per usare una terminologia comune. Se il paziente è anche fumatore aggiunge un ulteriore fattore di rischio ad una situazione di base.

E' necessario assumere delle protezioni per lo stomaco quando si è in terapia con cortisonici e immunosoppressori? Se sì quali?

Dott. Vanoli - Qui intanto credo che si debba fare una precisazione. Il lupus è proprio l'esempio tipico della patologia in cui parlare di terapia cortisonica, terapia immunosoppressiva in realtà voglia dire poco o nulla nel senso che il cortisone è molto diverso nella sua efficacia ma anche nei suoi effetti collaterali a seconda del dosaggio e dello schema con cui viene somministrato. Lo stesso discorso vale per gli immunosoppressori. La lesività del cortisone a livello dello stomaco, soprattutto se a dose molto bassa come abitualmente avviene nella terapia di mantenimento del lupus in remissione, è soprattutto aumentata dall'associazione di cortisone più antinfiammatori non cortisonici. Per cui in assenza di una sintomatologia può anche non essere giustificato alcun trattamento. Quello che mi preme qui sottolineare è la filosofia dei due farmaci citati e cioè uno inibisce la produzione di acido da parte dello stomaco, l'altro stende una specie di vernice sulle pareti dello stomaco che è in grado di interagire chimicamente con l'acido presente. E’ proprio una filosofia diversa, non sono due approcci alternativi nella loro efficacia. Nel caso di bruciore di stomaco vuol dire che c'è un acido lesivo, allora prendendo il Maalox, che è una base, avviene una reazione chimica che neutralizza l'acido e il bruciore passa.. Nel caso invece dello Zantac oppure di tutti gli altri farmaci anti H2, compresi quelli più recenti e cioè gli inibitori della così detta pompa protonica, quella che produce proprio l'acido a livello dello stomaco, lì hanno significato soltanto in senso preventivo in quanto riducono la produzione di acido. Il discorso a tutti voi comune e che questi medicinali non vengono passati dalla mutua perchè la legge impone che può essere dato soltanto a chi è affetto da esofagite o ulcera duodenale. Da questo punto di vista esistono altri farmaci che passano in fascia A e quindi sono mutuabili: sono quelli nella categoria ampia delle prostaglandine. Non hanno la stessa efficacia dei farmaci inibitori della produzione di acido però il trattamento, o se vogliamo la prevenzione del danno dall'associazione cortisone e antinfiammatori non steroidi, può essere sicuramente valido.

Guarigione - Raggiungimento della cortico indipendenza - Malattia autoimmune residua.

Prof. Marmont - Per quanto riguarda un azzeramento immunologico della malattia ci sono solo due procedimenti che ci possono arrivare. Uno è la combinazione della plasmaferesi con la ciclofosfamide, la così detta plasmaferesi sincronizzata. In un gruppo di casi si è ottenuta la negativizzazione totale degli anticorpi anche per anni senza cortisone, però è un trattamento molto aggressivo forse più aggressivo ancora del trapianto di midollo autologo, il secondo procedimento, che anch'esso può dare, per un periodo che non possiamo specificare, un azzeramento totale. Abbiamo veramente liquidato tutti i cloni o linfociti autoimmuni? Probabilmete no, però li abbiamo ridotti ad un minimo e qualche volta questa riduzione ad un minimo può essere utilissima. Una piccola àncora di tranquillità, con microdosi di steroidi a lungo, tutti noi clinici lo desideriamo perchè abbiamo tutti il terrore della riacutizzazione improvvisa, inattesa, non denunciata da un aumento di anticorpi, non denunciata da una VES alterata, ma denunciata improvvisamente da una crisi dolorosa con febbre. Questa è una cosa che va assolutamente evitata.

Che cosa si può dire del DHEA?

Prof. Marmont - Ricerca durata per anni su tantissimi ammalati confrontando la terapia DHEA più piccole dosi di steroidi contro il trattamento con steroidi senza DHEA ed è apparso un margine di vantaggio per coloro che prendevano entrambi i farmaci. Il risultato non è stato però così eclatante da decidere di associare costantemente il DHEA alla cura cortisonica.

Qualche informazione sulle terapie innovative tipo LPJ , UVA-1 e altre.

Prof. Marmont - Di queste terapie a Cancun ha parlato una dottoressa svedese che ha fatto una presentazione bellissima di tutte queste nuove terapie. Sono di un interesse immenso. Nessuno, dico nessuno finora ha dato nelle prove pilota la senzazione che dessero dei risultati tali da decidere di darlo a tutti e fare uno studio controllato. In realtà non siamo ancora arrivati a questo.

Si conosce la percentuale di neoplasie, di vario tipo, nei pazienti affetti da LES?

Prof. Aiuti - I pazienti che hanno il LES, ovviamente trattati con terapia immunosoppressiva, hanno un maggiore rischio, rispetto alla popolazione sana della stessa età, di sviluppare neoplasie. Ne sono soggetti anche quei pazienti affetti da altre malattie autoimmuni o immunosoppressi, affetti da immunodeficienze primitive o dagli stessi tumori. Questo rischio però varia in base alla durata della malattia, al grado di immunodeficienza, all’età del paziente. In genere i pazienti con il LES hanno una maggiore tendenza a sviluppare alcuni tipi di tumori a seconda del tipo di terapia. Si sa che, per esempio, alcune terapie immunosoppressive con la ciclosporina o con l’aziatoprina hanno più probabilità di dare a distanza di anni una maggiore prevalenza di tumori rispetto a quelli che fanno solo la terapia steroidea. C’è chi parla di un aumento di 10 volte, chi di 20 volte, chi di 50 volte. Queste casistiche sono difficilmente valutabili perchè sono delle casistiche molto eterogenee che variano anche in rapporto all’età, alla razza, alla prevalenza delle singole neoplasie nella popolazione e a tutti quei cofattori di rischio, che sarebbe impossibile qua elencare, che vanno dal fumo all’uso di estrogeni, da quelli ambientali a quelli alimentari e che incidono nelle incidenze delle neoplasie in quella determinata popolazione con quella determinata razza, età, sesso e appartenenza al gruppo etnico.

Si parla sempre più di trapianto midollare nelle malattie autoimmuni.

Prof. Marmont - Per quanto riguarda il LES attualmente si preferisce il trapianto autologo (utilizzando cioè il midollo dello stesso paziente) perchè considerato più sicuro, infatti, in tutta la trentina di casi trattati per esempio per il LES non c’è stato nessun inconveniente grave. Il trapianto autologo consente una potentissima immunosoppressione, "single hit", con un colpo solo. La malattia che se ne è giovata di più è la sclerosi multipla. Questo è un progetto che è nato da una mia idea del ‘93, che è stato praticato in Grecia su 25 casi, a Genova ne abbiamo fatti 2. Nel LES i risultati sono di grandissimo interesse però non credo, al contrario di alcuni, che si possa parlare di vera e propria guarigione. Per quanto riguarda l’allotrapianto ( utilizzando cioè il midollo di un donatore), con le metodiche di oggi non si può affrontare questa malattia perchè esiste ancora un rischio trapiantologico troppo elevato. Negli ultimi tempi però si è scoperto che dando alcuni farmaci non distruttori di tutto il midollo, come si dà in una leucemia, ma mirati solo ad eliminare il sistema immunologico, si riesce ad ottenere l’attecchimento di un nuovo midollo e questo nuovo midollo può in parte eleminare la componente autoimmune del vecchio. Questo non è stato ancora fatto ma io predico con certezza, confido che nel giro dei prossimi cinque anni sarà fatto e forse si otterrà qualche cosa di più che non dal trapianto autologo.

Si conosce qualche cosa sugli effetti del tamoxifene (terapia ormonale assunta per carcinoma al seno) sul LES?

Prof. Caligaris Cappio - Dodici anni fa si osservò che, nelle donne che prendevano il tamoxifene per ragioni mammarie e che avevano anche una leucemia cronica, c’era una netta riduzione dei globuli bianchi . Il tamoxifene era in grado di ridurre i linfociti di queste persone (leucemie linfatiche). Da lì nacque l’idea di usare il tamoxifene anche nel lupus o in altre malattie autoimmuni nell’idea di ridurre i linfociti autoreattivi. Le prove che sono state fatte però hanno dato una risposta completamente negativa cioè non c’è alcuna evidenza che effettivamente il tamoxifene nè migliori nè peggiori.

Con disturbi del sonno cosa si intende?

Prof. Caligaris Cappio - Difficoltà nell’addormentarsi la sera, risvegli ripetuti durante la notte.

L’alopecia da Lupus è cicatrizzante, questo significa che i capelli non ricresceranno mai più?

Prof. Caligaris Cappio - In realtà questo dipende perchè ci sono diversi tipi di alopecia nel lupus. Se si tratta di alopecia da lupus discoide, che è una variante spesso localizzata solo alla cute, e allora effettivamente lì c’è un danno anatomico per cui i capelli non ricresceranno più. C’è poi l’alopecia associata all’uso di immunosoppressori, come per esempio la ciclofosfamide, che avendo un effetto di tipo citostatico danneggiano anche il bulbo capillifero; qui la perdita di capelli è legata all’uso del farmaco. Infine abbiamo una maggiore frequenza di caduta di capelli associata alla fase di attività della malattia, in questo caso però i capelli tendono a ricrescere immediatamente dopo aver riportato la malattia in fase inattiva.

Qual è la terapia più adeguata per le lesioni cutanee nel lupus e in particolar modo quando sono presenti sul cuoio capelluto?

Prof. Scorza - Le lesioni cutanee sono sicuramente fra le manifestazioni meno preoccupanti dal punto di vista medico ma molto preoccupanti per quanto riguarda la terapia, nel senso che sono abbastanza resistenti allo steroide e agli altri immunosoppresori e si cerca sempre di evitare di aumentare le dosi per non fare con la terapia dei danni peggiori della malattia. In alternativa si ricorre ad un farmaco che è molto efficace nelle lesioni cutanee che è l’idrossiclorochina. L’idrossiclorochina è un farmaco estremamente manegevole nella stragrande maggioranza dei pazienti e quasi più efficace rispetto al cortisone nelle lesioni cutanee. Può venire associato ad una piccola dose di cortisone e allora in questi casi le cose possono andare bene. Quando neanche in questi casi c’è un riscontro positivo sorge un grosso problema perchè è vero che esistono altri farmaci, come ad esempio la Talidomide, però essi stessi sono associati all’insorgenza di LES quindi sono sempre farmaci che noi non adoperiamo volentieri in un paziente che ha già di suo la predisposizione alla malattia. Detto questo, nella stragrande maggioranza dei casi l’idrossiclorochina associata ad una dose relativamente accettabile di cortisone è forse la terapia di scelta nelle lesioni cutanee e il cortisone viene impiegato solo quando l’idrossiclorochina non funziona da solo.

Prof. Del Giacco - Attenzione a coloro che sono carenti di ??? G6 pd ???. Quindi chi è sardo oppure chi ha carenza di questo enzima deve stare attento perchè sia l’idrossiclorochina che l’adopsone danno anemia emolitica, possono dare crisi emolitiche.

E’ normale avere le gamma GT alte dovute all’assunzione di medicine?

Prof. Caligaris - La risposta è sicuramente si nel senso che molti dei farmaci che si

impiegano, l’Azatioprina, il Methotrexate, in certi casi lo stesso Plaquenil, possono avere quella tossicità epatica che può dare dei valori di gamma GT modestamente aumentati. E’ chiaro allora che poi continuare o non continuare il farmaco dipende da quanto sono alte le gamma GT, se è un fatto isolato o si associa ad altre anomalie della funzionalità epatica.

Un’attività sportiva intensa come l’aerobica praticata tre volte alla settimana può comportare un beneficio alla malattia?

Prof. Aiuti - In una patologia come questa che riguarda il sistema osteoarticolare dove spesso i pazienti possono essere sotto terapia steroidea, si è più soggetti sicuramente a strappi muscolari, a ipotrofia muscolare, per cui un‘attività sportiva iperattiva e traumatica, che potrebbe indurre al paziente distorsioni e strappi, la sconsiglio.

I traumi e le distorsioni possono aggravare la malattia?

Prof. Aiuti - Aggravare no, ma potrebbero portare uno squilibrio al paziente.

Ho 37 anni, a marzo di quest’anno ho perso un bambino a 2 mesi di gravidanza e ora sono in cura con il cortisone. Dopo tale aborto gli anticorpi anticardiolipina si sono notevolmente alzati nonostante il cortisone. Vorrei sapere quando potrei iniziare una nuova gravidanza. Se l’aborto nel LES ha una maggiore incidenza cosa si potrebbe fare per evitarlo?

Prof. Cattaneo - L’interruzione di gravidanza è vero che è più alta nel LES ma soprattutto nel LES con anticorpi antifosfolipidi. La seconda condizione favorente l’interruzione di gravidanza è la nefrite in fase attiva. Ultima condizione è la malattia in fase molto attiva, questa però è una causa minore. Se togliamo queste tre condizioni noi sappiamo ormai che l’incidenza di interruzione di gravidanza, quindi aborto o morte fetale, non è superiore nel LES rispetto alla popolazione normale. L’aumento di anticorpi anticardiolipina noi l’osserviamo anche dopo la gravidanza nonostante il cortisone. Però c’è da dire che il cortisone che noi usiamo in terapia non è in grado di ridurre il tasso di anticorpi, semmai dovremmo fare terapie immunosoppressive molto più forti. La profilassi dell’aborto nella sindrome di antifosfolipidi non è il cortisone bensì è rappresentata da farmaci antiaggreganti o anticoagulanti o dall’associazione dei due. Questa è la terapia che da dei risultati ottimali. Lei può tranquillamente iniziare una nuova gravidanza però è importante che non ci sia una nefrite in fase attiva e che la malattia sia sotto controllo di una terapia accettabile. Precisiamo che in più il cortisone può essere assunto tranquillamente in gravidanza. Una nefrite pregressa non rappresenta una controindicazione per iniziare una gravidanza..

Nel 1985 ho avuto un esordio di lupus cutaneo e recentemente ho avuto una nefrite lupica con anemia da insufficienza renale e ipertensione. Ho fatto tre boli di Endoxan ma la situazione appare ulteriormente peggiorata. Vorrei sapere perchè non c’è stato nessun miglioramento.

Prof. Cattaneo - Le informazioni sono un po' scarse. Non ha indicato il tipo di nefrite, l’entità del bolo di endoxan, se sono stati fatti da soli o associati al cortisone e la periodicità per cui non posso rispondere dettagliatamente. Comunque tre boli di endoxan sono ancora pochi, quindi direi di avere fiducia che se fatta bene la terapia avrà una risposta.

 


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