Pubblicato su ICARO n. 36
Luglio 2002

Correlati psicopatologici delle malattie autoimmuni (LES)

Dr. Michela Francia, psicologa clinica

Il giorno 6 dicembre 2001 presso la Facoltà di Psicologia dell’Università degli Studi di Parma ho discusso la tesi di laurea, conseguendo il voto di 105/110 (8 punti). L’argomento ha riscosso interesse e successo sia tra la commissione che tra il pubblico, così ho deciso di fare partecipi tutti i lettori e le lettrici di Icaro, anche per ringraziare, con l’occasione, alcune di loro che hanno costituito parte integrante del gruppo sperimentale, utilizzato per la mia ricerca. Ho riportato in quest’articolo gli obiettivi, i metodi, i risultati e le conclusioni a cui il mio studio è giunto, ovviamente in modo sintetico e con un linguaggio assai semplice, in modo che sia comprensibile anche da chi non è esperto in materia. Alla fine sono indicati due approcci psicoterapeutici ,comprendenti tecniche diverse, che sono stati adoperati con i pazienti affetti da patologie autoimmuni, in modo che, chi si voglia accostare ad un percorso di psicoterapia, possa scegliere quale, secondo lui, può essere il più appropriato, in quanto spesso non si è a conoscenza che la psicologia comprende scuole e punti di vista differenti, e che non tutte le terapie sono indicate per la medesima patologia, anche se l’obiettivo principale e comune resta sempre la salute del nostro paziente.

Il LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO (LES) è una malattia cronica a patogenesi autoimmune, caratterizzata da lesioni infiammatorie che possono colpire qualsiasi tessuto o organo; la causa è sconosciuta, ma i fattori predispondenti sono il sesso femminile, gli ormoni (estrogeni) e l’ereditarietà. Essi però costituiscono solo il substrato su cui agiscono i fattori scatenanti: tra quelli noti i raggi UVA ed alcuni farmaci.

Dall’analisi della letteratura psicologica sul LES è emerso che una delle caratteristiche più comuni di tale patologia è l’interessamento del Sistema Nervoso Centrale (SNC), che si può manifestare sia con sintomi neurologici che psichiatrici. La mia ricerca si è proposta di sondare però la struttura di personalità di tutti i pazienti LES, ossia non solo di quelli che presentano disturbi psichiatrici, i quali già sono stati considerati dalla maggior parte delle ricerche.

Gli obiettivi che la ricerca si è proposta di raggiungere sono:

  1. Verificare, mediante reattivi psicologici (test), se esistono differenze significative riguardo le caratteristiche psicologiche di personalità tra i pazienti affetti da due malattie autoimmuni: il LES e il diabete mellito di tipo 1° (anche detto "giovanile" o "insulinodipendente)
  2. Appurare, mediante un’analisi psicometrica approfondita, gli aspetti emozionali più sottili legati alla struttura di personalità di "tutti" i soggetti affetti da LES, non solo di quelli che presentano disturbi psichiatrici.

Anche il diabete è una patologia cronica, coinvolgente il Sistema Immunitario, che colpisce in età precoce e costringe il paziente a terapie farmacologiche costanti e a sottoporsi a continui monitoraggi clinici, ma non risulta dalla letteratura che queste patologie siano state mai comparate mediante studi sistematici.

L’ipotesi di partenza è che i soggetti affetti da LES presentino nei profili dei test somministrati punteggi più elevati nelle scale psicopatologiche rispetto ai diabetici, in quanto il LES è una patologia cronica ed invalidante, che può coinvolgere direttamente il Sistema Nervoso Centrale, le terapie farmacologiche, per lo più di tipo corticosteroideo, producono a causa dei loro effetti collaterali un calo dell’autostima e disturbi depressivi ed inoltre lo studio delle psicosi funzionali e dei disturbi di tipo psicoorganico hanno oscurato nella ricerca scientifica gli aspetti psicologici veri e propri riguardanti il LES.

Il campionamento dei soggetti sia del gruppo sperimentale (pazienti LES), sia del gruppo di confronto (pazienti diabetici), è stato eseguito seguendo precise norme statistiche, per far sì che entrambi i gruppi risultassero omogenei riguardo a variabili come sesso, età, anni di scolarità, area geografica di residenza,stato civile, etc. Il metodo utilizzato è stato la somministrazione di una batteria di test :MMPI-2 (Minnesota Multiphasic Personality Inventory –2), CBA 2.0 (Cognitive Behavioral Assestment, Scale Primarie) e BDI (Beck Depression Inventory).

Dopo aver elaborato i dati, attraverso un’analisi statistica computerizzata, si è giunti ai seguenti risultati:

  1. I due campioni risultano significativamente diversi in numerose scale dei test, sia dell’MMPI-2 che del CBA 2.0. I punteggi più elevati sono stati attribuiti dal gruppo di confronto, cioè quello dei pazienti diabetici. Per ciò che concerne il BDI si sono ottenuti risultati omogenei.

2) Nel gruppo sperimentale LES è evidente una tendenza nettamente depressiva

Le conclusioni che si possono trarre sono le seguenti:

a) L’ipotesi di partenza che prevedeva una tendenza maggiore dei soggetti affetti da LES a sviluppare caratteristiche psicopatologiche rispetto ai diabetici, è stata confutata. Indagare le cause di ciò non rientra negli scopi di questa ricerca, ma è possibile formulare qualche ipotesi.

E’ vero dunque che il diabete è una patologia di gran lunga più diffusa e conosciuta del LES (esso colpisce il 3% della popolazione mondiale), è assodato che non comporta dolore fisico, che non ci siano importanti modificazioni dell’immagine corporea, che insomma il malato diabetico non soffre di una patologia clinica esteriormente evidente, ma non sono da sottovalutare i numerosi disagi che tale patologia può portare e che potrebbero scatenare reazioni comportamentali disadattive.

Infatti il diabetico è anche colui che, soprattutto in età adolescenziale, si trova ad affrontare una patologia che comporta : una dieta attenta e povera di zuccheri, l’iniezione quotidiana di insulina, il rischio di cadere improvvisamente in coma ipoglicemico, il rischio di presentare disturbi visivi (cataratta, retinopatia), nefropatie (insufficienza renale), neuropatie, disturbi sessuali (nelle donne vaginismo ed anorgasmia; negli uomini impotenza) e rischio di malformazioni fetali in gravidanza .

Ciò preclude il paziente alle attività e alle relazioni sociali, che, soprattutto in età adolescenziale, rivestono un ruolo di fondamentale importanza. Infatti l’età di insorgenza è risultato un importante fattore predisponente di caratteristiche nevrotiche o disturbi emozionali .

Secondo il modello integrativo (uno dei modelli di medicina psicosomatica) il diabete, come il LES, presenterebbe un cronico blocco emozionale; gli eventi stressanti, come un evento luttuoso o di perdita, vengono valutati cognitivamente in modo negativo, cioè attiverebbero il sistema endocrino e neurovegetativo, che alla lunga stimolano cronicamente il sistema immunitario, e i fattori genetici ed ereditari costituirebbero il substrato della malattia. L’aspecificità di tale modello è il limite come ormai sappiamo delle patologie psicosomatiche, quindi è improprio ipotizzare tipologie specifiche di personalità.

Il fatto che una malattia somatica, in questo caso il diabete, comporti problemi di personalità ed adattamento, rispetto ad un’altra, può essere attribuito a variabili di tipo esterno, come per esempio l’ambiente e le risorse che questo è in grado di fornire al paziente, il grado di controllo della malattia, strategie di coping (cioè la capacità di far fronte alle situazioni) proprie del soggetto ed ovviamente la personalità premorbosa (cioè prima della malattia).

Per ciò che riguarda i pazienti LES nello specifico, è stata psicometricamente evidenziabile dall’MMPI-2 una tendenza nettamente più depressiva data dall’elevazione della triade nevrotica (Hs, D, Hy). Le scale delle aree psicotiche del test (Pa, Pt, Sc) non risultano significativamente elevate. Ciò potrebbe inficiare lo studio di Pancheri e Giacomello (1984) che vedeva una maggiore elevazione delle scale "psicotiche " del profilo MMPI-2 rispetto a quelle "nevrotiche" del profilo del test. Comunque la tendenza all’elevazione generale del profilo MMPI-2 e la sua configurazione nettamente "nevrotica" vanno considerate come reazioni emozionali alla malattia somatica che, come nel caso del diabete, risulta dolorosa ed invalidante.

Dal profilo CBA 2.0 i soggetti le scale che hanno ottenuto le frequenze di risposta maggiori sono quelle che delineano i soggetti come instabili emotivamente (EPQ-N), disadattati socialmente (EPQ P), preoccupati eccessivamente per il proprio stato di salute (QPF) e con numerose fobie (IPF), soprattutto per ciò che riguarda le critiche e il rifiuto sociale e la possibilità di incorrere in gravi pericoli personali.

Complessivamente, alla luce dei dati, si potrebbero definire i pazienti LES come tendenzialmente tesi, nervosi e depressi, preoccupati eccessivamente. Essi si sentono vulnerabili e tipicamente anticipano i problemi prima che essi si presentino. Lamentano numerosi disturbi somatici, esaurimento , stanchezza, ritmi personali rallentati e bradipsichismo (lentezza nel pensiero). Tendono a riflettere e a rimuginare molto. Le caratteristiche di personalità più evidenti sono: docilità, personalità passivo-dipendente nelle relazioni con problemi di assertività, l’incapacità di formare profondi legami emotivi ed eccessivo affidamento sulle persone. Tendono ad indurre negli altri un atteggiamento protettivo nei propri confronti. Inoltre tali soggetti si sentono inadeguati, insicuri ed inferiori, intrapunitivi quando si tratta di affrontare sentimenti di aggressività.

Come già sottolineato nel caso del diabete, il fatto che i soggetti presentino tale struttura di personalità non vuol dire che essa sia tipica della patologia LES. Infatti occorre tener conto anche della sintomatologia premorbosa, degli effetti collaterali dei farmaci assunti, dell’influenza della malattia cronica sull’immagine di sé e sull’autostima, gli esiti psicopatologici dovuti al coinvolgimento del SNC, l’impatto psicologico della malattia sulle relazioni sociali e soprattutto dell’impatto psicologico che ogni malattia cronica può portare e cioè stili di coping, reazioni di distress, sintomatologia depressiva ed ansiosa, problemi di adattamento alla nuova condizione, la revisione degli stili di vita e l’impatto che tutti questi fattori hanno sul sistema di personalità. L’insieme di queste variabili infatti devono essere considerate in un eventuale iter psicoterapeutico, qualsiasi sia l’impostazione a cui lo psicologo clinico faccia riferimento. A tal proposito, cito, come accennato sopra, due tra i maggiori approcci psicoterapeutici esistenti, che si sono occupati e si occupano della cura delle patologie psicosomatiche come il LES: la terapia psicoanalitica e quella cognitivo-comportamentale.

Terapia psicoanalitica

L’osservazione che pazienti affetti da LES presentano con estrema frequenza un quadro di personalità caratterizzato da una bassa reattività emozionale, con difficoltà ad esprimere le emozioni a livello comportamentale e, in particolare, a manifestare la propria aggressività, è stata alla base di tentativi terapeutici soprattutto di tipo psicoanalitico.

Caratteristica comune di questi tentativi, che hanno vantato qualche successo terapeutico nel LES, è stata l’utilizzazione di tecniche che hanno permesso la liberazione di valenze aggressive, represse o rimosse da parte dei pazienti trattati. Quando ciò è avvenuto si è osservato un rapido miglioramento delle condizioni cliniche del paziente, non limitato ai suoi problemi di tipo emozionale, ma esteso alla patologia lesionale ed infiammatoria della patologia (Ludwig, 1967; Schwartz 1978).

Mancano purtroppo studi sistematici su casistiche sufficientemente ampie che confermino questi risultati. Comunque, da un punto di vista generale, si dovrebbe ritenere che ogni approccio terapeutico, che favorisca la liberazione controllata delle valenze emozionali ed aggressive represse, possa teoricamente agire favorevolmente sul decorso del LES. Naturalmente occorre una notevole cautela nell’applicare questo tipo di approccio psicoterapeutico, che in ogni caso va associato alle terapie mediche "classiche".

Va tenuta presente la resistenza che comunque hanno i malati psicosomatici e quelli affetti da LES ad affrontare qualsiasi psicoterapia. Una forzatura inesperta ed inopportuna di questa resistenza potrebbe infatti risolversi semplicemente in un aumento dell’ansia ed un peggioramento della sintomatologia. Inoltre va tenuto presente che un approccio psicoterapeutico di questo genere non si propone la rottura delle difese del paziente, ma un addestramento a un uso più modulato delle stesse, in modo da ripristinare la normale, periodica reazione di stress.

Nella letteratura sulla psicoterapia del LES si trovano vari lavori che depongono per l’utilità della terapia di gruppo. In realtà, nella maggior parte dei casi, più che di psicoterapie di gruppo specifiche, analoghe a quelle usate in psicopatologia, si tratta di gruppi di incontro e di discussione tra pazienti e membri dello staff curante, di cui frequentemente fa parte uno psicologo (Zeitlan, 1977; Henkle, 1971; Gentry et al,1977).

L’utilità sul piano clinico di questi gruppi non è chiaramente dimostrata anche se, presumibilmente, essi ottengono una riduzione dell’ansia e delle valenze depressive attraverso un miglioramento dell’informazione, un rinforzo dei meccanismi cognitivi di gestione ed un miglioramento della comunicazione emotiva.

Terapia cognitivo-comportamentale

Questo tipo di approccio coniuga interventi di tipo sia cognitivo che comportamentale. In letteratura però non sono riportate ricerche che hanno studiato la relazione tra questo tipo di psicoterapia e il LES, così mi limito a riportare gli interventi che questo approccio propone per tutte le patologie croniche in generale. Essi si distinguono in:

  1. Ristrutturazione cognitiva: si spiega al paziente l’influenza dei pensieri pessimistici del dialogo interiore negativo, favorendone uno rassicurante e un diverso atteggiamento nei confronti della malattia. Si cerca di aiutare il paziente a concentrarsi sulle proprie capacità anziché sulle disabilità, identificando i pensieri di inutilità e confrontandoli con termini costruttivi con la realtà dei fatti;
  2. Esercizi di rilassamento: rilassamento muscolare progressivo, immaginazione visiva, ipnosi, meditazione, desensibilizzazione sistematica.
  3. Correzione di schemi comportamentali non adattivi di reazione alla malattia: si favorisce l’uso di risorse sociali e l’aumento degli interessi al fine di ridurre un possibile comportamento evitante e la tendenza a interessarsi o concentrarsi unicamente su sé stessi e sui propri problemi. Inoltre è bene valutare l’eventuale abuso di farmaci antidolorifici.
  4. Gestione dello stress: che comporta esercizi di rilassamento, partecipazione ad attività piacevoli, esercizio fisico regolare ed appropriato, alimentazione adeguata, gestione del tempo e scelta delle priorità, sviluppo ed uso di un programma di cura personale, identificazione di eventuali fattori stressanti, capaci di scatenare riacutizzazioni della malattia, incoraggiamento del paziente ad esprimere i propri sentimenti
  5. Facilitare la capacità di far fronte con successo a situazioni difficili (strategie di coping): per confermare l’esperienza di malattia del paziente, infatti il riconoscimento e l’accettazione della stessa aiutano ad affrontarla
  6. Incoraggiare l’espressione di ansie e paure, ad affrontare la realtà ed a esercitarsi nella risoluzione dei problemi concreti, cercando di analizzare ed affrontare con il paziente l’influenza che la malattia ha sui suoi rapporti interpersonali, spiegandogli in termini rassicuranti come le paure e la frustrazione provate dagli altri nei confronti della sua esperienza di malattia causino un allontanamento emotivo
  7. Aspetti relativi all’immagine del corpo: si incoraggia l’elaborazione del lutto relativa ai vissuti di perdita, collegati ai cambiamenti della sua efficienza, che influenzano il senso di identità e la sua capacità di adattamento; si cerca di favorire nel soggetto il riconoscimento della distorsione della percezione della propria immagine corporea.
  8. Biofeedback: per indurre rilassamento muscolare. Tale tecnica è stata ampiamente usata in medicina psicosomatica e anche in reumatologia, dove ha trovato applicazioni diverse: in campo riabilitativo per la capacità dell’EMG bfd training di indurre rilassamento muscolare; per l’addestramento al controllo volontario della temperatura (thermal bfd) che ha dato risultati favorevoli nella terapia del dolore, a prescindere dalla sua origine, attraverso meccanismi neurovegetativi o biochimici di probabile natura centrale; infine, essendo il biofeedback una forma di psicoterapia breve, senza effetti secondari è generalmente ben accettata dai malati somatici e psicosomatici, contrariamente a quanto avviene nelle terapie tradizionali.