pubblicata su ICARO n. 19

Il Trapianto di Cellule Staminali ematopoietiche nel L.E.S. ed in altre malattie autoimmuni: prospettive e problemi.

Prof. Alberto Marmont du Haut Champ
Primario Emerito di Ematologia dell'Ospedale S. Martino di Genova
Presidente Onorario del Gruppo Italiano per la lotta contro il LES

 

Si sa ormai da tempo - con maggiore sicurezza negli ultimi anni - che non solo le cellule midollari e sanguigne propriamente dette, ma anche le linee linfoidi T e B, che sono all'origine dell'immunità, derivano da un'unica cellula progenitrice, nota come cellula staminale ematopoietica (CSE). Sappiamo anche da tempo che nelle malattie autoimmuni esiste una interazione complessa fra predisposizione costituzionale ed intervento di fattori esogeni, fra i quali, nel caso appunto del L.E.S., gli ormoni estrogeni, le radiazioni ultraviolette B e tanti altri.

Oltre 25 anni fa, Morton e Siegel dimostrarono, con ricerche giustamente considerate come classiche, che si poteva trasmettere il lupus dei topi neozelandesi (NZB x NZW) trapiantando il midollo (o la polpa splenica) da un topo affetto ad un topo sano; marmont_murine.JPG (12952 byte)non solo, ma era anche possibile il contrario, ossia la guarigione del L.E.S. murino dopo irradiazioni del topo affetto e trapianto midollare da topo sano. Dopo queste ricerche fondamentali, successivamente confermate, si sono ottenuti risultati sovrapponibili in tutto uno spettro di malattie autoimmuni sperimentali. Inoltre il gruppo di Rotterdam guidato da van Bekkum pervenne ad ottenere risultati sovrapponibili in encefalomieliti ed artriti di animali da esperimento non solo utilizzando CSE allogeniche (ossia da donatore sano), ma, abbastanza sorprendentemente, utilizzando CSE autologhe, ossia provenienti dagli animali affetti, peraltro dopo distruzione del tessuto linfatico centrale e periferico con protocolli immunoablativi inclusivi anche di irradiazione totale corporea.

Veniamo ora allo stato dell'arte in clinica umana. Le prime osservazioni sono quelle derivanti da trapianti di midollo allogenico, a seguito dei quali una condizione autoimmune, anche latente, del donatore è stata trasmessa al ricevente. Questo fenomeno viene definito quale autoimmunità adottiva. Fra le malattie autoimmuni trapiantate si annoverano il diabete mellito, la trombocitopenia, la tiroidite e la miastenia autoimmuni.

Naturalmente ciò che interessa di più è il fenomeno opposto, ossia la risoluzione (o guarigione) di una malattia autoimmune del ricevente dopo trapianto allogenico da donatore sano. Ben s'intenda che casi del genere sono estremamente rari, perché si tratta di pazienti affetti simultaneamente da una malattia autoimmune e da un'emopatia grave, al punto da richiedere un trapianto. Inoltre tali pazienti devono essere in età trapiantabile, ed avere un germano compatibile (HLA-identico) nella fratria. La malattia autoimmune trapiantata più frequentemente, a causa di anemia aplastica sopravvenuta a seguito di terapia con sali d'oro, è l'artrite reumatoide; tuttavia, accanto a casi fortunati, ne è stato pubblicato anche uno nel quale la malattia recidivò nonostante che il sistema immunologico fosse ormai del donatore. Per conoscere lo stato reale della situazione sono in corso analisi di casistiche internazionali, fra le quali in primo luogo quella dell'International Bone Marrow Transplantation Registry (IBMTR), di cui mi sto occupando io stesso.

Il trapianto autologo è più semplice e soggiace a meno rischi del trapianto allogenico; tuttavia, in un primo, piccolo gruppo di pazienti si verificarono generalmente ricadute anche precoci. In un caso autotrapiantato in Nuova Zelanda per un linfoma maligno sopravvenuto in una paziente affetta da molti anni da L.E.S., si è verificata una remissione completa, cortisone-indipendente, che dura ormai da quasi 4 anni. Si spera di ottenere risultati consimili procedendo alla T deplezione, ossia riducendo di molto la quota di linfociti T autoreattivi dei pazienti.

Come si vede, ci troviamo agli albori di metodiche nuove, di cui peraltro non conosciamo ancora il vero valore terapeutico. Dobbiamo procedere con molta cautela, in modo da ottenere i migliori risultati possibili senza esporre i pazienti che vorranno ricorrere a tali procedimenti ad alcun rischio eccessivo.

Per chi volesse saperne di più:

Prof. A. Marmont, Bollettino della Società Italiana di Immunologia ed Immunopatologia. 11:3