Pubblicato su ICARO n. 43
Novembre  2004

Gruppo LES Roma Lazio
Sintesi dell'incontro medici-pazienti di Sabato 17 aprile 2004

Fattori ormonali e nutrizionali nel Lupus Eritematoso Sistemico

Prof. Cesare Masala
CATTEDRA DI ALLERGOLOGIA E IMMUNOLOGIA CLINICA III, UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA "LA SAPIENZA"

L’etiologia del lupus eritematoso sistemico (LES) è tuttora incerta. Le più recenti ricerche confermano, tuttavia, l’ipotesi da lungo tempo prospettata, cioè che l’espressione clinica della malattia sia correlata all’intervento variamente combinato o sequenziale di molteplici fattori endogeni ed esogeni: fattori genetici, infezioni (soprattutto virali), stress, fattori ormonali, agenti fisici o chimici, fattori immunologici e altri (Masala C. In "Enciclopedia Medica Italiana" UTET Ed., Torino 1992).

La spiccata predilezione del LES per i soggetti di sesso femminile in età fertile (rapporto F/M = 9:1) chiaramente depone per l’intervento di fattori ormonali. In effetti, tutti gli studi su modelli animali di LES "spontaneo" o sperimentalmente indotto concordemente indicano che gli estrogeni hanno un ruolo scatenante o aggravante la malattia, mentre gli androgeni hanno un ruolo protettivo.

Gli studi più recenti sui molteplici effetti che gli estrogeni esplicano anche a livello di cellule del sistema immunitario apportano un supporto scientifico a tali osservazioni sperimentali. E’ stato infatti dimostrato che gli estrogeni:

  1. Sono capaci di indurre un’attivazione policlonale delle cellule B: ciò significa che cellule B potenzialmente autoreattive (cioè "istruite" per la produzione di autoanticorpi), ma in fase di quiescenza funzionale per la mancanza di un segnale stimolatorio che dovrebbe essere loro apportato dalle cellule T helper (CD4+), sotto l’influsso di estrogeni possono fattivamente iniziare a produrre autoanticorpi anche in assenza della "cooperazione" T.

  2. Potenziano la sintesi in vitro di immunoglobuline e di autoanticorpi (in particolare, di anticorpi antinucleari) da parte della cellule B di sangue periferico provenienti da pazienti affetti da LES.
  3. Incrementano il numero delle cellule produttrici di citochine pro-infiammatorie, in particolare di quelle producenti IL-6. Questa citochina, per i suoi effetti proinfiammatori e per le sue proprietà di induzione delle proteine della fase acuta e di attivazione funzionale delle cellule B, viene attualmente considerata come una citochina fondamentale nella fisiopatologia del LES: in animali che "spontaneamente" sviluppano il LES, la neutralizzazione della IL-6, ottenuta mediante la somministrazione di anticorpi monoclonali anti-IL-6, inibisce lo sviluppo della malattia e prolunga, sino a raddoppiarlo, il tempo di sopravvivenza.
  4. Aumentano la resistenza delle cellule B autoreattive attivate agli stimoli che portano alla morte cellulare programmata (apoptosi): ciò significa che tali cellule sopravvivono in numero e per tempi maggiori rispetto a quelle che non hanno subìto l’effetto degli estrogeni, con conseguente iperproduzione di autoanticorpi (McMurray R.W., Intern Immunopharmacol, 1, 995, 2001; Verthelyi D., Intern Immunopharmacol, 1, 983, 2001).

Un altro ormone più recentemente implicato nella patogenesi del LES è rappresentato dalla prolattina (Vera-Lastra O. et al., Autoimmunity Rev, 1. 360, 2002). In effetti, la prolattina, più che un ormone, potrebbe essere attualmente considerata come una citochina pleiotropa che viene secreta non soltanto da cellule ipofisarie, ma anche da numerosi tipi cellulari situati in sedi extraipofisarie: neuroni, cellule epiteliali, cellule endoteliali, cellule cutanee, cellule del sistema immunitario e altre. Livelli abnormemente elevati di prolattina sono riscontrabili nel 20-30% dei pazienti con LES e sono associati alle fasi di attività di malattia, alla nefropatia lupica, ai disordini psichici ed all’aumentata sintesi di immunoglobuline e di anticorpi anti-DNA. Tali effetti potrebbero essere riferiti alle proprietà di cui è dotata la prolattina di stimolare la sintesi di varie citochine – soprattutto delle citochine proinfiammatorie IL-1, IL-6 e IFN-a - e di contribuire alla proliferazione delle cellule T.

In una malattia multifattoriale (e multigenica) qual è il LES, scarsa attenzione viene generalmente rivolta al possibile ruolo dei fattori nutrizionali. E ciò è per molti aspetti sorprendente, in considerazione anche del fatto che sin dagli anni ’70 il gruppo di ricercatori capeggiato da Robert Good aveva chiaramente dimostrato come, in animali geneticamente predisposti allo sviluppo del LES, il semplice dimezzamento dell’apporto calorico quotidiano (a parità di tutte le altre condizioni esogene ed endogene) consentisse il raddoppio dell’età media di sopravvivenza. Ricerche condotte negli ultimi anni apportano qualche elemento chiarificatore in merito ai complessi meccanismi attraverso cui modificazioni della dieta quotidiana potrebbero interferire nella patogenesi del LES. Queste ricerche indicano che nelle intricate interrelazioni tra alimentazione, stress e sistema immunoendocrino un ruolo di mediazione fondamentale potrebbe essere svolto dalla leptina, molecola dotata, come la prolattina, della capacità di esplicare funzioni pleiotropiche simil-citochiniche: essa, tra l’altro, interferisce infatti sul desiderio del cibo, sul peso corporeo, sul bilancio energetico, sui processi dell’ematopoiesi, sullo sviluppo dell’infiammazione e sulle risposte immunitarie nei confronti di vari agenti infettanti. Più recentemente, è stato ampiamente documentato che la leptina funge anche da potente regolatore dei processi autoimmunitari mediati da cellule Th1 autoreattive. In modelli animali, la riduzione del peso corporeo, il digiuno, l’inedia inducono una riduzione dei livelli di leptina e questa riduzione, a sua volta, provoca un aumento dell’increzione ipotalamica di CRF (Corticotropin-Releasing Factor): il CRF, interagendo con recettori specifici (CRF-R) espressi alla superficie dei linfociti Th1, ne inibisce o riduce l’attività funzionale. Per contro, l’aumento del peso corporeo determina un aumento dei livelli di leptina e ciò, a sua volta, induce un aumento dell’increzione ipotalamica di MSH (a -Melanocyte-Stimulating Hormone): l’interazione sulle cellule Th1 dell’MSH col suo recettore (Melanocortin-4 receptor) induce una sovraregolazione dell’attività delle cellule Th1, con conseguente iperincrezione di citochine proflogogene e possibile induzione di fenomeni autoimmunitari Th1 correlati, ivi inclusi alcuni quadri fisiopatologici del LES (Lord G.M. et al., Nature, 394, 897, 1998; Sanna V. et al., J Clin Invest, 211, 141, 2003; Steinman L. et al., J Clin Invest, 111, 183, 2003).

Ovviamente, quanto sopra riferito non deve essere inteso come un invito ai pazienti con LES ad adottare spontaneamente diete forzate o a diventare anoressici! Esso deve servire soltanto da stimolo ai Ricercatori perché non trascurino questo "nuovo" aspetto etiopatogenetico delle malattie autoimmunitarie ed al Medico curante perché nel controllo del LES non sottovaluti anche l’importanza di una corretta, bilanciata e ipocalorica alimentazione.